The Barracudas Salsomaggiore Festival Beat 2012
Data: 2012-2-19 / Tempo di lettura: min.
The Barracudas è una band anglo-canadese formatasi nei tardi anni 70. Fondata da Jeremy Gluck (voce), Robin Wills (chitarra), David Buckley (basso) e Nick Turner (batteria), ha raggiunto l'apice della notorietà nel 1980, quando il singolo Summer Fun.
Caratterizzati da un sound surf-garage molto melodico, hanno sospeso la loro attività nel 1984 per poi riprenderla nel 1989, in occasione della registrazione del disco Wait For Everything.
The Barracudas - Summer Fun
The Barracudas - Summer Fun
L'appuntamento è per Sabato 30 Giugno al Festival Beat di Salsomaggiore Terme, per avere tutte le informazioni sul festival vai alla pagina Festival Beat Vol 20 (2012) oppure leggi la notizia Festival Beat Salsomaggiore 2012.
Album "Drop out with the Barracudas"
Sembra di fare un salto nel tempo di 40 (e più) anni con questo album d'esordio dei Barracudas, ma anche se l'operazione potrebbe puzzare di eccessiva nostalgia fine a sè stessa, il disco è di una godibilità assoluta, vuoi per l'onestà di fondo dei ragazzi, vuoi per la qualità della loro musica.
"I can't pretend" è fresca come l'acqua di montagna e come quella, è corroborante e rivitalizzante, "We're living in violent times" si avvicina più ai Byrds che ai Beach Boys ed è una ballata splendida, come la successiva e più veloce "Don't let go". L'inno di "Codeine" (cover di un pezzo della musicista canadese Buffy St. Marie, ripresa anche dai fantastici Litter del primo album), lenta e cadenzata come un pezzo beat rallentato e la dichiarazione d'intenti di "This ain't my time" (garage leggero e genuino), continuano una prima facciata scintillante, ma il meglio deve ancora venire: l'oscura "I saw my death in a dream last night", splendida ballata di classe innegabile e "Somewhere outside", brano che potrebbe sembrare una ripresa dylaniana dei Byrds, concludono un primo lato sorprendente (definito "Down side").
La seconda facciata ("Up side") comincia all'insegna del divertimento più puro e della surf-music, con un immaginario jingle pubblicitario sui Barracudas (ciò che sarebbe davvero servito ai ragazzi...) e una "Summer fun" contagiosa per allegria e immediatezza e la successiva "His last summer" (ancora l'estate...) non è da meno; ciò che stupisce è la facilità con cui i ragazzi riescono a snocciolare una canzone sull'altra con una leggerezza sopraffina, senza inventare nulla, d'accordo, ma nessuno lo pretende (I can't pretend...). "Surfers are back", canzone ignorata dalla lista sul retro-copertina, è una pillola velocissima e magnifica (vedere - ascoltare - la versione non ripulita presente in "The big gap"), ma l'ennesimo uppercut arriva con "Somebody", garage-rock splendido, duro e dal ritornello impareggiabile.
Ancora Byrds rivisitati con "Campus tramp" (non memorabile, ma bello l'assolo di chitarra) e surf-music della più pura con "On the Strip" (non fosse per la voce di Jeremy Gluck...: durante il ritornello si citano letteralmente le "good vibrations"!). "California lament" ci conduce verso la conclusione dei solchi con una ballata di eterea bellezza, cantata da un coro di "sapore" mistico (composto da chi non è possibile saperlo: il disco manca totalmente di note, comprese le firme dei pezzi); un brano che potrebbe far venire il latte alle ginocchia, ma che in base ad una legge del 1981 ("Ai Barracudas del 1981 riescono tutte, fuorchè vendere i dischi"), risulta possedere bellezza e un pizzico di magia. "(I wish it could be) 1965 again", garage veloce e grintoso, è l'ennesimo tentativo dei Barracudas di far indietreggiare il corso del tempo verso quegli anni '60 tanto inneggiati.
Un disco stupendo, da ascoltare e riascoltare; se potete, compratene due, tre, dieci copie, non farete altro che compiere un gesto di giustizia verso questo grande, sfigato e misconosciuto gruppo.
Sul retro-copertina c'è la presentazione della band a firma di un certo Black (il cognome: il nome è illeggibile): "I Barracudas probabilmente non sono normali. Jeremy Gluck (occhi azzurri, capelli castani, altezza 2 metri, come i biondi, yeah, yeah) è un anacronismo vivente con il suo sguardo fisso da pazzo. Non sembra sapere e non sembra importargli in quale epoca stia vivendo. Robin Wills, nelle rare occasioni nelle quali i suoi piedi toccano terra, si mangia le unghie e appare davvero sgradevole. Il monello David Buckley appare così spaventosamente normale che è impossibile che lo sia. Nick è un batterista che non può dire di no. I Barracudas sono abbastanza ingenui da pensare che la musica sia composta in parti uguali di energia, armonia, melodia e testi. Espressione concisa. I Barracudas pensano che gli album debbano avere delle note. Pensano che i loro fans sappiano leggere. Ingannati in merito alla ballabilità e cantabilità delle loro canzoni, potreste pensare a loro come a una fun pop band. Non potrei biasimarvi. Essi lo sono. Se fossimo veramente ancora nel 1965, avrebbero intitolato il loro album "Le due facce dei Barracudas" e sulla copertina sarebbero apparsi i quattro oscuri e sgradevoli Barracudas, che si sarebbero trasformati in quattro Barracudas dai sorrisi limpidi e irresistibili. "Drop out" li trova in un umore più inquieto di quanto si potesse precedentemente immaginare. Questo non è solo un album di contrasti, è un album di contraddizioni".
Per conoscere meglio la biografia dei The Barracudas barracudas biografia oppure The Barracudas - Wikipedia
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Caratterizzati da un sound surf-garage molto melodico, hanno sospeso la loro attività nel 1984 per poi riprenderla nel 1989, in occasione della registrazione del disco Wait For Everything.
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Sembra di fare un salto nel tempo di 40 (e più) anni con questo album d'esordio dei Barracudas, ma anche se l'operazione potrebbe puzzare di eccessiva nostalgia fine a sè stessa, il disco è di una godibilità assoluta, vuoi per l'onestà di fondo dei ragazzi, vuoi per la qualità della loro musica.
"I can't pretend" è fresca come l'acqua di montagna e come quella, è corroborante e rivitalizzante, "We're living in violent times" si avvicina più ai Byrds che ai Beach Boys ed è una ballata splendida, come la successiva e più veloce "Don't let go". L'inno di "Codeine" (cover di un pezzo della musicista canadese Buffy St. Marie, ripresa anche dai fantastici Litter del primo album), lenta e cadenzata come un pezzo beat rallentato e la dichiarazione d'intenti di "This ain't my time" (garage leggero e genuino), continuano una prima facciata scintillante, ma il meglio deve ancora venire: l'oscura "I saw my death in a dream last night", splendida ballata di classe innegabile e "Somewhere outside", brano che potrebbe sembrare una ripresa dylaniana dei Byrds, concludono un primo lato sorprendente (definito "Down side").
La seconda facciata ("Up side") comincia all'insegna del divertimento più puro e della surf-music, con un immaginario jingle pubblicitario sui Barracudas (ciò che sarebbe davvero servito ai ragazzi...) e una "Summer fun" contagiosa per allegria e immediatezza e la successiva "His last summer" (ancora l'estate...) non è da meno; ciò che stupisce è la facilità con cui i ragazzi riescono a snocciolare una canzone sull'altra con una leggerezza sopraffina, senza inventare nulla, d'accordo, ma nessuno lo pretende (I can't pretend...). "Surfers are back", canzone ignorata dalla lista sul retro-copertina, è una pillola velocissima e magnifica (vedere - ascoltare - la versione non ripulita presente in "The big gap"), ma l'ennesimo uppercut arriva con "Somebody", garage-rock splendido, duro e dal ritornello impareggiabile.
Ancora Byrds rivisitati con "Campus tramp" (non memorabile, ma bello l'assolo di chitarra) e surf-music della più pura con "On the Strip" (non fosse per la voce di Jeremy Gluck...: durante il ritornello si citano letteralmente le "good vibrations"!). "California lament" ci conduce verso la conclusione dei solchi con una ballata di eterea bellezza, cantata da un coro di "sapore" mistico (composto da chi non è possibile saperlo: il disco manca totalmente di note, comprese le firme dei pezzi); un brano che potrebbe far venire il latte alle ginocchia, ma che in base ad una legge del 1981 ("Ai Barracudas del 1981 riescono tutte, fuorchè vendere i dischi"), risulta possedere bellezza e un pizzico di magia. "(I wish it could be) 1965 again", garage veloce e grintoso, è l'ennesimo tentativo dei Barracudas di far indietreggiare il corso del tempo verso quegli anni '60 tanto inneggiati.
Un disco stupendo, da ascoltare e riascoltare; se potete, compratene due, tre, dieci copie, non farete altro che compiere un gesto di giustizia verso questo grande, sfigato e misconosciuto gruppo.
Sul retro-copertina c'è la presentazione della band a firma di un certo Black (il cognome: il nome è illeggibile): "I Barracudas probabilmente non sono normali. Jeremy Gluck (occhi azzurri, capelli castani, altezza 2 metri, come i biondi, yeah, yeah) è un anacronismo vivente con il suo sguardo fisso da pazzo. Non sembra sapere e non sembra importargli in quale epoca stia vivendo. Robin Wills, nelle rare occasioni nelle quali i suoi piedi toccano terra, si mangia le unghie e appare davvero sgradevole. Il monello David Buckley appare così spaventosamente normale che è impossibile che lo sia. Nick è un batterista che non può dire di no. I Barracudas sono abbastanza ingenui da pensare che la musica sia composta in parti uguali di energia, armonia, melodia e testi. Espressione concisa. I Barracudas pensano che gli album debbano avere delle note. Pensano che i loro fans sappiano leggere. Ingannati in merito alla ballabilità e cantabilità delle loro canzoni, potreste pensare a loro come a una fun pop band. Non potrei biasimarvi. Essi lo sono. Se fossimo veramente ancora nel 1965, avrebbero intitolato il loro album "Le due facce dei Barracudas" e sulla copertina sarebbero apparsi i quattro oscuri e sgradevoli Barracudas, che si sarebbero trasformati in quattro Barracudas dai sorrisi limpidi e irresistibili. "Drop out" li trova in un umore più inquieto di quanto si potesse precedentemente immaginare. Questo non è solo un album di contrasti, è un album di contraddizioni".
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Salsomaggiore Terme (Musica) - 19/02/2012 - The Barracudas Salsomaggiore Festival Beat 2012
Written by Mokik
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